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Mumford&Sons

Recensione del nuovo disco Babel

Di Giulio di Lorenzo

Benvenuti alla torre di Babele di Marcus e soci (o figli, che dir si voglia). La ripida scalata verrà accompagnata dal fedelissimo banjo di Winston Marshall, dai delicati synth di Ben Lovett , dal contrabbasso di Ted Dwane ed infine dal cuore/voce/chitarra e batteria del gruppo, Marcus Mumford.

Il disco comincia con “Babel”, title-track dell'intero album ed è un monito agli ascoltatori (abituali e non): “Siamo I Mumford & Sons e suoniamo così.” Non avrebbero potuto cominciare meglio. Piccola chicca per chi lo ascolterà con le cuffie o a volumi decentemente alti : l'album ha un continuum di strumenti, una traccia non finisce mai con il silenzio assoluto, ma ha sempre un preludio per richiamare la canzone che verrà dopo.

Le scale di Babele sono lunghe, il cammino continua con “Whispers In The Dark” e “I Will Wait”, che non sono le solite ballate folk propriamente allegre, o meglio, sono ballate dal contenuto lirico coperte da un velo di tristezza, ma il ritmo la fa da padrone e quasi ci dimentichiamo del contenuto del testo. Holland Road è una delle vie a cui Marcus è affezionatissimo, da sempre. E' la via che vi porta all'Holland Park a Londra (un piccolo parco, famosissimo per le sue rose), poco lontanto dalla dimora del cantante. E' l'inno alla sua Londra, all'uomo che cade e si rialza, al marito che rientra a casa dalla sua amata, all'uomo di tutti I giorni.

Se avete voglia di conquistare una ragazza, segnatevi le prossime tre canzoni. In ordine “Ghosts That We Knew”, “Lover Of The Light” e “Lover's Eyes”. Il trittico confezionato per la moglie di Marcus (Carey Mulligan, per chi si interessa di gossip spicciolo o di anglofilia morbosa); canzone in cui si racconta un amore puro, si promette protezione dai fantasmi del passato, in cui si esalta l'amore, che viene addirittura paragonato alla Luce, per concludere con una stilnovistica “Lover's Eyes”, usate le vostre reminescenze liceali e fate uno sforzo, altrimenti cercate “Dante” su Google (non ditelo a nessuno che l'avete fatto, ovviamente).

Non dimenticare, il messaggio di “Reminder” appare chiaro, così come le liriche recitano. “Costant reminder of where I can find her...Oh my love don't fade away”. Avrei potuto inserirla tranquillamente tra le tracce che ho citato prima, ma poi vi avrei tediato con una parte smielosa di Marcus, che immagino voglia tenere per sè, o quantomeno far trasparire dalle sue canzoni. Per chi non ha mai avuto una speranza e una certezza, per chi lotta, per chi vorrebbe una luce, ma la lampadina è sempre rotta e il ferramenta è sempre chiuso. Questa canzone è per tutti loro. Una corona spezzata per un Re che non verrà mai scelto. Il canto di dolore di chi è rimasto indietro e recrimina un posto, un qualsivoglia posto, per essere notato. Le parole urlate di Marcus alla fine della canzone (che conclude con un crescendo vorace, ormai un marchio di fabbrica dei Mumford).

Il “trittico del clochard”, così ho voluto intitolare queste tre canzoni (“Below my Feet”, “Not with Haste” e “For those below”). Immaginatevi l'ultimo della società, quello che vi chiede un paio di monete per comperarsi whisky di quarta categoria, quello che Pasolini descriverebbe come “Accattone”. Proprio lui. Quello che sta sempre all'angolo e non dice una parola. Magari la prossima volta regalategli un sorriso. Almeno quello è gratuito.

L'album continua a scivolare veloce, ma si ferma e si inchina a “The Boxer”. Sì, una cover. Sì, Simon and Garfunkel. Il loro tocco in una delle canzoni più struggenti della storia della musica Pop (e per Pop non intendo Britney Spears, ma “popolare”). “Dove sei? Dove sei adesso?” Perchè per concludere un disco con una domanda fa sempre effetto e in pochi se lo possono permettere. Piccola nota personale : durante l'ascolto mi sono divertito a paragonare il protagonista delle avventure a Odisseo e ho associato ogni canzone a un'avventura dell'eroe Acheo. Provate anche voi con il vostro personaggio letterario preferito e vediamo cosa ne esce fuori.

Passo, ahimè, alle conclusioni: Ai Mumford era richiesto il salto di qualità dal grande occhio (orecchio?) dei loro fan e posso pacificamente dire che non si sono smentiti. La promessa l'hanno mantenuta. Eccome. I fortunati che hanno assistito a uno dei loro due concerti in Italia quest'estate avevano già assaporato qualche traccia in anteprima (“I Will Wait”, “Where Are You Now”, “Lover of The Light” e “Lover's Eyes). Facciamo finta che “Sigh No More” non sia mai esistito, o meglio, non l'abbiate ascoltato o non lo sappiate a memoria. Scommetto che ci sarà qualcuno di voi che dirà “è identico all'altro!”, posso rispondere dicendo “Li ricordate I fischi a Dylan quando osò mettere un paio chitarre elettriche in un suo album”?

Pace e amore.

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