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Radiohead, Arena Parco Nord

La recensione del live bolognese

Di Andrea Fiorito e Chiara Santantonio

Atteso ed acclamato come il concerto dell'anno, quello che i Radiohead hanno tenuto all'Arena Parco Nord di Bologna è stato indimenticabile per le 25mila persone che rimandavano l'appuntamento da Luglio (il tour estivo ha subìto un cambio di location e un salto di date).

La nostra conoscenza sul loro repertorio era incompleta ma la fiducia che riponevamo nella resa live ci era stata profusa da conoscenti già fortunati spettatori di precedenti tournè (2009).

Quanto promesso dai nostri biglietti comincia a concretizzarsi con l'(abbastanza) puntuale apertura di Caribou, spinta spalla elettronica che esordisce on stage con dei bassi definiti e molto potenti, celebrando abbondanza e complessità impiantistiche, rendendo giustizia alla resistenza fisiologica del ventre di tante persone in coda dal mattino.

Il compito delle band di apertura è sempre complicato: scaldare un pubblico difficile ed impaziente di vedere qualcos'altro. Tutt'altro per il trio canadese: mezz' ora di estasi pre concerto, pubblico in delirio con musica elettronica di grande livello, musicisti in grande forma ed evidentemente soddisfatti del positivo ritorno.

L'ambìto mainshow non tarda dopo il saluto di Daniel Victor Snaith.

Mensione speciale a palco e luci: solitamente, ricorrere a scenografie stupefacenti per i live (a parte storiche eccezioni), manifesta il voler sopperire ad una certa mediocrità musicale. In questa occasione è necessario ripulire suddetto clichè e consegnarsi ad un suggestivo incontro tra visual art e potenza sonora: dodici pannelli quadrati sospesi sul palco smentiscono la banalità di decenni di mera riproduzione visiva (col fine di rendere partecipi anche gli sguardi più lontani) e palesano le potenzialità della videoarte per mezzo della loro disposizione (diversa ed adeguata ad ogni pezzo) e del loro orientamento, della sequenza di effetti grafici e colori che li animano, dei dettagli on stage sui quali si focalizzano e della compenetrazione tra immagini che riproducono.

Un fitto e mastodontico muro di bottiglie di plastica retroilluminate padroneggiava lo sfondo, giusto per non mettere da parte la portata evironmental-care alla quale i Radiohead dimostrano di essere affezionati da tempo.
A proposito di affezioni: quanto fin qui riportato è merito dell'affinità ormai storica che la band ha con lo stage designer Andi Watson.

Spulciare gli album fotografici (dai quali è trattala la foto della scaletta) caricati su Facebook da Vivo Concerti renderà meglio l'idea.

I Radiohead attaccano con una nervosa Lotus Flower ed una leggera trascuratezza sul volume del microfono di Yorke, recuperata subito in Bloom, confluita negli spasmi percossi di una partecipatissima 15 Steps. Dall'archivio pescano Lucky (molto emozionante e comunque freschissima) e Kid A, si ritorna ai ritmi sostenuti di Morning Mr. Magpie, poi There there, The gloaming, Separator, Pyramid Song, Like spinning plates, You and whose army?, I might be wrong, Planet telex (meritevole flashback), Feral, Little by little, Idioteque (intro poco fedele),How to desappear completely eseguita à les ondes martenot, altra grande partecipata Daily mail, Myxomatosis e una Paranoid Android al cui inizio la folla è letteralmente andata in delirio.

Bis poco generoso con Give up the ghost e Reckoner ma Everything in its right place fa da asso piglia tutto e chiude con soddisfazione il live , malgrado una scaletta così anomala sintomo dei Radiohead più electro-contaminati, "polarizzati" e lunatici. Vi segnaliamo il video live di Exit Music (for a film) da consultare sul tubo per una breve e spopolatissima strigliata di Yorke nei confronti del Mac di Greenwood.

La Band. Prestante e in formazione allargata. I nostri cari per sconvolgerci ancora un pò hanno deciso di portarsi dietro in tournè un secondo batterista, Clive Deamer dei Portishead, che affiancava Phil Selway con il risultato di una batteria schiacciante e super sincrona come se a suonarla fosse un uomo solo a quattro mani. Pollice in su per per i fratelli Greenwood: Colin (basso) che fa sentire prepotentemente la sua presenza e che con grande serietà accompagna i batteristi senza lasciarli mai, e Jonny (chitarra e tastiere) che ha dimostrato una grande padronanza da polistrumentista.

Live perfetto, anche se non è stato in Piazza Maggiore.

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