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Obtorto Collo

Recensione del nuovo disco di Capovilla

Di Benito Antonio Carrozza

Il “progetto solista” del frontman di una band più o meno rinomata sembra essere ormai diventato un obbligo quasi morale, e Pierpaolo Capovilla, già One Dimensional Man ma soprattutto Il Teatro degli Orrori, ha deciso di non fare eccezione alcuna. Giunge così ai nostri lobi Obtorto Collo (La Tempesta), co-scritto con Paki Zennaro e prodotto da Taketo Gohara.

Capovilla nelle sue precedenti iterazioni aveva dimostrato un abilità di scrittura rara nell’ ambito del rock italiano, danzando elegantemente tra cripticismo e denuncia sociale aveva trovato un alchimia che ha fatto le fortune sue e delle sue band. Alchimia che ultimamente aveva conosciuto momenti d’incertezza i quali, purtroppo, si ripresentano anche in questo lavoro.

La volontà di destrutturare il linguaggio, tornando alla semplicità di periodi e parole, è un intento più che encomiabile se si riesce a trovare il giusto equilibrio, peculiarità che a volte sembra essersi perduta e spesso si fa fatica e necessita più di uno sforzo riuscire leggere i presunti sottotesti delle liriche. Le musiche si affidano a registri di vario genere e, tra alti molto alti (Quando) e bassi molto bassi (Dove Vai), conservano comunque una direzione artistica notevole e curata.

Non saremo noi gli hipsterini acidi che vi diranno si tratti di un album orrido ed evitabile, ma non saremo neanche i fanboy della peggiore specie che si affaticano nel trovare dell’ eccelso in tutto quello che viene fuori dalla prolifica penna di Capovilla. E’ un album sinusoidale, narrativo e fortemente invernale. Non affascina al primo ascolto e non convince pienamente al centesimo, è una contraddizione in musica.

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