Questo sito web utilizza i cookie per migliorare la navigazione e raccogliere dati sull'utilizzo del sito.

Fruit bats

Sub Pop all'opera: ultimo album firmato Fruit Bats.

Di Ofelia Colaci

Se fino a qualche decennio fa chi produce musica era limitato nel render noti i propri lavori, ora questo limite sussiste per lo piu' da parte di chi ascolta e molte band restano confinate nella penombra di questo esteso panorama musicale.

Ne sono un esempio i Fruit Bats, band statunitense che eredita il nome da un progetto solista di quattro tracce di Eric D. Johnson, già chitarrista de “The Shins”. Nel 2001 dopo l'ingresso di Dian Strack e Brian Belval il loro debutto con “Echolocation” dal quale emerge immediatamente la loro impronta prettamente folk. L'anno seguente firmano un contratto discogafrico con la SubPop, etichetta che li accompagnerà fino alla recente uscita. Fra il 2003 e 2005 pubblicano due album, “Mouthfuls” e “Spelled In Bones”. Il primo, si differenzia per sonorità più pulite e complete, il secondo invece si pone un pò come riassunto della loro esperienza.

Una pausa lunga quattro anni precede l'uscita di “The Ruminant Band”, in cui è percettibile la nuova maturità della band. Ed è da qui che prende forma “The Tripper”, uscito ad agosto 2011. Un album di undici tracce che si presenta come un racconto intriso di malinconia e disincanto, quel disincanto che sembra quasi evocare Nick Drake, come nell'intro di “The Banishment Song”. Le chitarre rinascono dalla scandita lentezza dei precedenti album, la perfetta cornice fra voci ed arrangiamenti, come fossero tasselli, combinati per plasmare sequenze perfette nella loro totalità. Sin dai primi accordi, si coglie quel connubio fra il loro stile vecchio stampo e la ventata di rigogliosa novità. Note che catturano e ammaliano, come “So Long”, pura esplicazione di psichedelia che riesce ad insidiarsi cautamente nella mente di chi la ascolta. Gli arrangiamenti si fanno più ricercati e soffici, in “Shivering Fawn” la voce ruba la scena al resto, lasciando l'ascoltatore libero di farla propria. Anche tracce come “You're Too Weird” , “Dolly” e “Heart Like Orange”, che, sembrano abbandonare queste serafiche melodie sconfinando in ritmi più veloci, restano    assorbite da quest'atmosfera di ovattato tepore.

Un intreccio fra ciò che è lento, e quel che, lento, lo può diventare, cantando con una voce del tutto dissonante dal resto o, dando forma a meolodie che si dissolvono come il canto ammaliatrice di una sirena. Suoni ricercati e che, pur non ornati da virtuosismi tecnici, si addentrano nel profondo di chi li ascolta.

Partner tecnici

Top