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MOBY DICK cap: LXXXVII

La grande mandria delle balene

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MOBY DICK
cap: LXXXVII

 LXXXVII • LA GRANDE ARMADA  
di Sumatra, Giava, Bali e Timor

Quasi rinunciando a ogni idea di incontrare caccia in quei paraggi, la nave stava per entrare nello stretto quando si udì dall'alto il solito grido allegro, e non molto dopo fummo salutati da uno spettacolo di singolare magnificenza.

alla distanza di due o tre miglia, e formando un gran semicerchio che abbracciava metà dell'orizzonte, una catena ininterrotta di zampilli si alzava gaia e scintillante nell'aria di mezzogiorno

Lasciandoci addosso solo camicia e mutande ci buttammo a remare e dopo un'arrancata di parecchie ore eravamo quasi decisi a rinunciare alla caccia, quando una specie di confusa frenata generale tra le balene ci dette segni incoraggianti che esse erano alla fine cadute sotto l'influsso di quella curiosa perplessità, i pesci parvero impazzire dal terrore. Allargandosi in ampi cerchi irregolari in ogni direzione.

Ma questa timidezza occasionale è caratteristica di tutti gli animali gregari, . Lo provano pure tutti gli esseri umani accozzati assieme nell'ovile di una platea, che al minimo allarme d'incendio si buttano alla rinfusa verso le uscite

È meglio quindi reprimere ogni meraviglia davanti alle balene stranamente inchiodate, perché non c'è pazzia degli animali sulla terra che non venga infinitamente superata dalla pazzia degli uomini.

Queequeg scagliò il rampone, il pesce colpito  puntò dritto al cuore della mandria.
Mentre il mostro veloce vi trascina sempre più addentro nel branco impazzito, voi dite addio al quieto mondo che vi circonda e vivete solo in un sussultante delirio.

Ma Queequeg ci guidava imperterrito, ora scostando da un mostro che ci traversava la strada proprio di faccia, ora evitando di striscio l'altro le cui pinne colossali ci pendevano sul capo, mentre intanto Starbuck dritto sulla prua con la lancia in mano scostava a colpi di punta le balene che poteva toccare con brevi lanci

lo slancio morente dell'abbrivo che ci diede nello staccarsi ci fece scivolare tra due cetacei nel cuore più profondo del branco, come se da qualche torrente montano fossimo passati in un lago sereno nella valle.

Dovevamo cercare qualche breccia nella muraglia vivente che ci circondava, quella muraglia che ci aveva lasciato entrare solo per chiuderci dentro.

Queequeg le accarezzava sulla fronte, Starbuck grattava le gobbe con la lancia, ma per il momento si tratteneva dal ferire per paura delle conseguenze.

in preda a quel dolore folle, la balena andava ora sbattendo nell'acqua menando violentemente con la sua flessibile coda e vibrando attorno la vanga affilata in modo da ferire e ammazzare le sue stesse compagne.
Quell'oggetto terribile parve risvegliare l'intera mandria dalla sua paralisi. L'intero esercito delle balene venne rotolando sul suo più profondo centro,

«Remi in pugno e l'anima tra i denti, ora! Mio Dio, ragazzi, occhio!

Questa salvezza fortunata la pagammo a buon prezzo con la perdita del cappello di Queequeg, che mentre stava in piedi sulla prua a spunzonare le balene in fuga, l'ebbe portato via di testa nettamente dal vortice prodotto dall'alzarsi improvviso, lì accanto, di un paio di grandi pinne.

I risultati di quella calata in acqua valsero in certo senso a illustrare quel sagace detto dei balenieri: più balene e meno pesce. Di tutte le balene coi druggs ne prendemmo solo una. Le altre, per il momento, riuscirono a scappare

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