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Yuma

Recensione di Yuma, primo LP dei Bettie Blue. 

di Benito A. Carrozza

Avevamo lasciato i Bettie Blue alle atmosfere ucroniche del loro primo EP Stoneselvatique (qui la nostra recensione), e li ritroviamo con album vero e proprio dal nome altrettanto suggestivo: “Yuma”, prodotto da Omid Jazi con l’ausilio di Shuta Shinoda, e registrato nell’ Hackney Road Studio di Londra.

Yuma non è solo il nome dell’album e dell’ultima traccia del disco, è anche e soprattutto il tema che permea l’intero lavoro, come fosse un miraggio, un punto di arrivo e di partenza, ma comunque non di passaggio. Le allegorie delle liriche paiono sfuggenti come granelli di sabbia tra le mani, con la stessa sensazione di aver colto per un momento l’essenza di qualcosa di più grande, non divino, ma terreno in tutte le accezioni del termine.

Se il sound del primo EP aveva quella “botta” che ti danno cinque shot uno dietro l’altro nella bettola sotto casa, questo lavoro ha invece la violenza compassata di una sorsata di whiskey nella solitudine di un’infernale notte di pieno agosto.

E come il whiskey è un album che spacca in due il cubo di ghiaccio che lento scivola nelle sue venature ambrate. Arido come il panorama desolante che si staglia laconico di fronte alle premure estetiche e sociali di tanti musicanti loro contemporanei.

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